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Un muro di Berlino anche in Italia, lo sapevate?

E chi l’avrebbe mai detto, se non fossi passato di lì quando ancora stava in piedi questa sarebbe ora una storia che non potrei raccontare. Il suo fratello maggiore, il muro di Berlino, più famoso e più importante è vissuto di meno, “solo” 28 anni ma voi sapevate che anche l’Italia aveva il suo muro che divideva l’Est dall’Ovest? E questo muro è stato decisamente più longevo, è sopravvissuto fino al 2004.

Quel muro triste con le sue garitte passava a dividere l’Europa anche in una città di confine del Friuli Venezia Giulia: Gorizia. Gorizia, una città anticamente sotto il dominio dell’impero austro ungarico, successivamente conquistata dagli Italiani durante la prima guerra mondiale e poi divisa in due dopo la seconda guerra mondiale. Da una parte Gorizia “Est”, sotto il nome di Nova Gorica, a controllo jugoslavo e dall’altra parte la Gorizia “Ovest”. In mezzo un muro. Una città tristemente divisa.

Gorizia è una città che di rogne ne ha vissute. Nella prima guerra mondiale tutta la zona fu teatro di ferocissimi ed inimmaginabili combattimenti. Si stima che morirono in quella zona, solo per parte italiana, non meno di 50’000 soldati. Non a caso una canzone intona con rabbia “Oh Gorizia tu sei maledetta!”.

Oggi però qualcosa è cambiato ed è così che, proseguendo la storia interrotta nel post precedente, incontro la mia amica Slovena, Nina, in piazza della Transalpina. Proprio lì a metà della piazza passa il confine tra Italia e Slovenia. Non più un muro ma delle mattonelle bianche ed una placca a centro piazza a ricordare la durata in vita del muro 1947 – 2004.

Nel 2004 infatti l’Unione Europea è arrivata ad includere anche la Slovenia facendo venir meno il perché di quel triste muro a divisione di due popoli. Un altro confine che perde il suo valore di divisione per diventare mero cambio di giurisdizione. Un altro muro abbattuto.

Da più di cinquant’anni ormai, proprio sulle ceneri di due guerre mondiali, ci sono stati uomini che hanno cercato di costruire, di rimarginare ferite creando l’Europa. Un’unione di 28 stati. Se l’Europa fosse già esistita il mio bisnonno e tutti quelli come lui avrebbero potuto varcare quel confine così come lo faccio oggi io come cittadino di 28 stati. Senza frontiera interna. Giusto un passaggio da uno stato ad un altro ma senza più garitte, controlli, tensioni etniche. Solo un cartello che dà il benvenuto. Si, ho passato il confine sentendomi a casa.

Vi immaginate quel confine cento anni fa? Case in rovina, attorno terreni senza alberi, mentre uomini contro altri uomini erano costretti a macellarsi tra di loro sotto il tiro incrociato di mitragliatrici, bombe e gas asfissianti.

Dopo la prima guerra mondiale a stretto giro ne è arrivata un’altra, la seconda, che ha profondamente inciso la zona del Friuli. Prima il Fascismo a vietare alle persone di etnia slovena di mantenere il loro cognome e poi la tragedia delle foibe volute da Tito. Altri uomini contro. Nel 1947 il muro. Me lo immagino quel confine in inverno. Triste, uggioso, garitte, soldati di qua e soldati di là mentre alla televisione si sentivano le notizie di blocchi navali, strategia della tensione, minacce nucleari.

Intanto però l’Europa andava avanti. Uomini che ci credevano andavano avanti cercando di costruire. Nasceva il progetto Erasmus e i giovani iniziavano a girare tra gli stati. Ed è proprio così che ho conosciuto Nina e come lei tante altre persone che imparano lingue, culture diverse, si adattano e ripudiano le divisioni.

Nel 2004 anche la Slovenia è entrata a far parte dell’Unione Europea e dopo quasi un secolo di tragici scontri quel muro, vissuto mezzo secolo, veniva finalmente abbattuto. Mezzo secolo di gente separata e di libertà di movimento oppressa che veniva meno. Oggi però c’è ancora chi vorrebbe dividere, chi vorrebbe smantellare quanto si è costruito.

Mi auguro che l’Europa vada avanti con forza! Distruggere un ponte è molto più facile e veloce che non costruirlo. L’Europa sta costruendo ponti e bisogna esserne coscienti.

La macchina è parcheggiata in piazza della Transalpina, scendo, ci abbracciamo salutandoci consci che solo qualche anno fa quell’abbraccio sarebbe stato impossibile.

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