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Ortigara, una storia di rocce, di vita e di morte.

Ortigara, questo nome probabilmente non vi dirà nulla. Ortigara è un luogo tetro, misterioso, lontano, silenzioso, spettrale.

Ortigara è un luogo consacrato alla storia, storia di vite di migliaia di persone che hanno avuto la sfortuna di passarvi combattendoci.

Ortigara è anche un luogo che alle sue pendici è circondato da una natura strabiliante fatta di boschi e valli, di prati verdi e pascoli li com’è posizionata sull’Altipiano di Asiago. Altipiano che è famoso per le sue tradizioni culinarie, la sua storia ed i suoi paesaggi.

L’Ortigara è una montagna che si raggiunge dopo aver attraversato l’Altipiano fino a giungere ad Asiago città e poi proseguendo fino a Gallio. Da qui una strada si inerpica in una valle fino ed entrare nei boschi che ne stanno alla base.

Questa strada si può percorrere in auto fino a raggiungere alcuni rifugi dove si può sia pernottare che mangiare dell’ottimo cibo locale. Rifugi che un tempo erano tutti baracche militari. Attorno al Rifugio Campomuletto a località campomulo è stato realizzato nel 2008 il suggestivo “Sentiero del silenzio” che preannuncia ciò che si vedrà su in vetta e ricorda attraverso l’arte il dramma della battaglia che è passata tra quei boschi incantati. Si tratta di dieci opere d’arte moderna disposte lungo un sentiero che passa tra i prati e il bosco che si trovano attorno al rifugio. Le opere sono “pace ritrovata”, “pietà”, “speranza”, “lettere”, “testimoni”, “eserciti”, “fiore vivo”, “labirinto nero”, “gli immortali”, “frutti gloriosi”. Tutte quante toccanti nel loro carico di umanità. Se voleste avere un’idea più precisa vi basti dare un occhio al sito web ufficiale dell’opera.

Da qui in poi la strada diventa sterrata e percorribile solamente in jeep qualora prendiate il percorso più rapido e in ogni caso solamente in estate. In inverno il paesaggio diventa magico con i suoi metri di neve e le strade sterrate che vengono tramutate in quasi infinite piste da sci di fondo.

Man mano che si prosegue sullo sterrato di pietrisco bianco il paesaggio attorno lascia senza parole per la sua quiete e tranquillità. Un verde alpino lontano dalla civiltà e dalla sua frenesia. Osservando bene però nelle vallate che si attraversano cominciano a riaffiorare i segni della storia drammatica. Baracche militari, muretti, croci e dei cippi qua e la ricondando il nome di qualcuno che si è immolato in azioni ardite.

Prima di partire per questo viaggio mi ero concesso il tempo per la lettura del libro “un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu. Un capolavoro della narrativa. Lussu fu ufficiale della Brigata Sassari e fu impegnato sull’Altipiano un anno intero. Con uno stile asciutto e privo di giudizi narra delle vicende che a noi risultano addirittura difficili da credere ed immaginare ma che purtroppo i nostri bisnonni vissero senza probabilemente poterle raccontare. Dopo aver letto il libro questi luoghi assumeranno per voi un significato particolare e profondo trasformando una visita ad un luogo in un vero salto nel passato riconoscendone i luoghi che avete visto attraverso le parole.

Lasciata la jeep al piazzale Lozze dopo chilometri di sterrato ci si incammina verso la vetta. Salendo si comincia a percepire l’ostilità del luogo. I boschi cessano mentre le trincee cominciano a comparire ovunque accompagnate da croci, buchi nelle rocce da cui le mitragliatrici rigettavano il loro carico di morte. Giusto per darvi due numeri l’Ortigara ha una quota massima di 2105 metri e la vetta è calata di otto metri rispetto all’inizio della guerra a causa dei violentissimi bombardamenti. Su quella montagna sono cadute decine di migliaia di uomini e oggi di quell’inferno rimane tangibile traccia nei reticolati di filo spinato, nelle scatolette arrugginite di cibo. Se osservate il pietrisco sotto i vostri piedi non faticherete a rendervi conto che è frammisto a schegge di granate. Ovunque. Il paesaggio più ci si avvicina alla vetta più si fa tetro. Rocce. Pietrisco. Trincee.

Giunti in vetta dopo aver passato, a seconda del sentiero, alcuni tunnel, si possono osservare due cippi. Il cippo italiano e quello austriaco a ricordare il fronte. Il cippo italiano, la così detta “colonna mozza”, reca una frase scolpita “per non dimenticare”. Ogni anno gli Alpini si trovano su quella vetta a celebrare il ricordo assieme anche a soldati di montagna Austriaci e Sloveni in segno di ricordo fraterno.

Poco più in la sul sentiero si trova una campana, la campana dei caduti. E’ usanza per il viandante di farla suonare. Vi capiterà così di sentire in quel paesaggio arso, una volta che vi sarete allontanati dalla vetta, l’eco della campana in lontananza. Triste e solitario.

Il paesaggio su in vetta richiede attenzione, sono chilometri di terreno simile con dislivelli di poco conto che possono indurre in errore e senza alcuna fonte d’acqua.

Innumerevoli i resti lungo il sentiero. Trincee. Omnipresenti. Pezzi di scarpe, pezzi di uniformi, occhiali e infine tra il filo spinato e le schegge di bombe riaffiorano silenziose e bianche anche le ossa. Sono rimasto ammutolito nel pensare a chi potessero appartenere quei resti pensando al dolore di quella guerra.

In zona erano stanziati circa 300’000 soldati italiani e 150’000 austriaci e i morti furono decine di migliaia. Non rimane che ascoltare quel silenzioso sibilo del vento che spazza l’Ortigara incessantemente.

Un luogo che ha dell’incredibile, così come può essere il giungere sull’orlo della Dolina degli Sloveni, scendere giù fino ai baraccamenti e vedere altre ossa, pezzi di scarpe ed un incisione al Triglav lasciata li dai soldati Sloveni “In mezzo alle rocce sulle cime delle montagne il Reggimento Cesarjevic tesse la sua Gloria Triglav nostra casa ma sorgente di dolore esso perservera con devozione nella sua lotta per te”.

L’Ortigara è un luogo da visitare, da comprendere, la storia li non è scritta su di una pagina ingiallita. La storia li è scritta nel terreno con tracce indelebili che mettono in guardia il viandante sugli orrori, dimenticati, della guerra. Tutta la zona è talmente importante da un punto di vista storico da essere inserita all’interno dell’Ecomuseo della Grande Guerra.

L’Ortigara ha ispirato anche due canzoni Alpine. Ta-Pum e Ortigara. La prima è nata in trincea. La seconda successivamente. Ta-Pum è il suono del fucile del cecchino. Sentire queste canzoni e poi vedere i luoghi mette la pelle d’oca. Ogni nota ha il suo riscontro tra le rocce, nell’erba, in quel silenzio.

Ta-Pum

Venti giorni sull’Ortigara
senza il cambio per dismontà;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

E domani si va all’assalto
soldatino non farti ammazzar;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Quando poi si discende a valle
battaglione non hai più soldà;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Ho lasciato la mamma mia
l’ho lasciata per fare il soldà;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Quando portano la pagnotta
il cecchino comincia a sparar;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Giù nella valle c’è un cimitero
cimitero di noi soldà;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Cimitero di noi soldati
forse un giorno ti vengo a trovà;
ta pum ta pum ta pum (2 volte)

Conoscere questo posto e la sua storia significa fare un salto nel passato, un salto utile a vivere e comprendere il presente. Ringraziare di non averli vissuti e conoscere gli sforzi disumani, crudeli, assassini cui i nostri bisnonni sono stati costretti.

Questo luogo è viva memoria per gli Alpini e così una volta rientrato ispirato dalle note delle due canzoni ho voluto condividere il mio pensiero di viaggio con il direttore della rivista l’Alpino:

“Da piccolo sono sempre stato appassionato, grazie ai miei nonni, di canti alpini e del loro carico umano.
Da meno piccolo frequentai il CAI per anni fino a partire come VFA nel 7°Rgt. Alpini per poi avere l’onore di cantare nel Coro BAJ. Ora che sono congedato da un po’, ogni volta che posso porto i miei amici, milanesi e non, a conoscenza del mondo Alpino e del suo grande cuore. Recentemente, cappello Alpino in testa, ho accompagnato un gruppo di amici sull’Ortigara, idea che mi è venuta dopo aver letto “un anno sull’altipiano” e ripensato a “TA-PUM”. Passo dopo passo verso la vetta, le note delle canzoni riaffioravano vive nella mia mente trovando triste riscontro dietro ogni roccia, ogni trincea, ogni scheggia di bomba, ogni frammento di ossa trovato fuori dal sentiero principale. Come se quelle note vive si fossero cristallizzate in drammatiche immagini di orrore e tragica umanità. Ricordare è il mio principale obiettivo, stupito dell’ignoranza dei più su questi posti dove i nostri/miei bisnonni hanno versato il loro sangue e perso la loro gioventù. Siamo tornati a valle più ricchi di una grande esperienza. Un conto è leggere la storia, un conto è vederne il concreto e triste riscontro. Nel gruppo c’erano anche una studentessa austriaca e un dottore romeno. Silenziosamente ammutoliti e rispettosi di quel posto dove ognuno dovrebbe passare per comprendere il vero valore della pace e i sacrifici che son costati ai nostri avi.”

Lettera pubblicata a pagina 5 del numero di ottobre 2013 con la seguente risposta del Direttore:
“Ci hai detto due cose importanti, caro Alessio. La prima è che per sentire col cuore è importante anche vedere. La seconda, non meno importante, è che ogni canto alpino è un sommario di vita, le cui strofe vanno coniugate sulla realtà dei luoghi”.

Arricchito da questa visita sono tornato a valle in silenzio, con le note di Ta-Pum che lentamente scandivano il passo.

Purtroppo l’Ortigara non è l’unico luogo della memoria nell’Altipiano di Asiago. La tragica storia della guerra ha coinvolto anche Monte Fior, Monte Cengio con il suo “salto del granatiere” e tanti altri luoghi. Storie così lontane da sembrare assurde, impossibili eppure li tornano in vita, riafforano, ti costringono a riflettere immersi nella bellezza di quei paesaggi.

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