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Sulle tracce della storia: Monte Pasubio.

Le note dei canti Alpini ispirano molte delle mie escursioni. Condensati di vita, memoria e rispetto per un passato indelebile fatto di fatica e di sacrifici.

E’ l’alba. Siamo a Trento. Alle sei del mattino sono pronto sulla porta di casa con il cappello Alpino in testa. Il mio amico Marco guardandomi perplesso, mentre ultima il suo zaino con relativa calma, mi dice: “Alessio, così però mi inquieti”. In realtà credo che non avesse ancora realizzato la lunghezza del percorso che ci stava aspettando e la necessità di rispettare determinate tempistiche.

Dopo una ricca colazione al bar ci dirigiamo tra i tornanti verso Colle Xomo (1058 mt) attraversando la Vallarsa, la meta è il Monte Pasubio. Il suo canto è conosciuto ad entrambi.

“Sulla strada del Monte Pasubio,

bom borombom bom bom borombom

lenta sale una lunga colonna,

bom borombom bom bom borombom.

L’è la marcia de chi non torna,

de chi se ferma a morir lassù.

 

Ma gli alpini non hanno paura,

bom borombom bom bom borombom.

 

Sulla cima del Monte Pasubio,

bom borombom bom bom borombom

soto i denti ghe sè ’na miniera,

bom borombom bom bom borombom.

Sè i alpini che scava e spera,

de ritornare a trovar l’amor.

 

Ma gli alpini non hanno paura,

bom borombom bom bom borombom.

 

Sulla strada del Monte Pasubio,

bom borombom bom bom borombom

sè rimasta soltanto ’na crose,

bom borombom bom bom borombom.

No se sente mai più ’na vose,

ma solo el vento che basa i fior.

Ma gli alpini non tornano indietro,

bom borombom bom bom borombà.”

Giunti al Passo Xomo parcheggiamo l’auto poco dopo a Bocca di Campiglia (1263 mt) e paghiamo il parcheggio. In un battibaleno siamo all’ingresso del Sentiero delle 52 Gallerie. Un’enorme lastrico d’acciaio con una fotografia in rilievo di soldati in marcia e un organigramma di tutti i reparti che vennero impegnati li nella guerra del 15/18 accompagnano il viandante all’ingresso. Questo sentiero fa parte dell’eco museo all’aperto della Grande Guerra.

Dopo poco cammino si giunge alla prima galleria. 52 gallerie scavate nella roccia in tempo record dal Genio Italiano al fine di poter portare le truppe in vetta senza percorrere le strade sotto il tiro d’artiglieria nemica. Circa sei mesi per forare una montagna intera. Impensabile. Il percorso sale impervio nella sua prima parte, nel suo susseguirsi incessante di tunnel. Uno sale a chiocciola nel cuore della montagna. Lo stillicidio e l’aria fresca portano un po’ di tranquillità al sole che picchia sul percorso. Con sorpresa noto che il sentiero è davvero affollato di viandanti. Dall’accento sento che sono tutti veneti e trentini. Ma davvero tanti.

Dopo qualche ora di cammino si arriva al punto finale del percorso dove il sentiero è esposto su uno strapiombo impressionante sotto il Cimon del Soglio Rosso (2040 mt). Il Rifugio Achille Papa, situato sulle Porte del Pasubio (1928 mt.), è ormai in vista.

Dal rifugio parte il secondo sentiero da affrontare in giornata. Il sentiero Tricolore. Un sentiero ad anello lungo tutta la parte superiore del monte. Dopo aver mangiato due panini nell’affollatissimo rifugio si riprende la marcia. Se il sentiero delle 52 gallerie era davvero frequentato, il sentiero tricolore, complice la quota e la stanchezza già sufficiente nel percorrere il primo tratto, è quasi deserto. Solo qualche viandante qua e la.

Il terreno attorno a noi non nasconde l’orrore che fu. Accanto al sentiero l’erba di montagna è rigogliosa. E’ pieno di stelle Alpine e tra le stelle alpine ovunque si intravedono frammenti di bombe, pezzi di scarpe chiodate e ossa. Marco è contento di essere arrivato fin lassù appagato forse di essere per un attimo testimone di un orrore accaduto cento anni fa e di poterne poi testimoniare a sua volta l’esperienza.

A me viene in mente un altro canto. Li vicini alla vetta sul Soglio dell’Incudine (2114 mt). Tra le stelle alpine. Li dove il sangue fu versato a fiotti. Se ancora oggi si trovano ossa non posso davvero immaginare la quantità di morti che quella montagna vide. Nel silenzio e nel vento che ci circondano echeggiano le parole e le note di Stelutis Alpinis.

“Se tu vens cassù ta’ cretis

à che lôr mi àn soterât,

al è un splaz plen di stelutis;

dal miò sanc l’è stât bagnât.

Par segnâl, une crosute

je scolpide lì tal cret,

fra chês stelis nas l’arbute,

sot di lôr, jo duâr cujet.

 

Cjôl sù, cjôl une stelute:

jê ‘a ricuarde il nestri ben.

Tu j darâs ‘ne bussadute

e po’ plàtile tal sen.

Quant che a cjase tu sês sole

e di cûr tu préis par me,

il miò spirt atôr ti svole:

jo e la stele sin cun te.”

Francesco De Gregori ha riarrangiato questo canto in versione in italiano. Le parole sono leggermente diverse dal testo originale. Se ai puristi potrà non piacere io apprezzo anche questa versione.

Traduzione libera dal friulano:

Se tu vieni quassù, tra le rocce

dove loro mi hanno sotterrato,

c’è uno spiazzo pieno di stelle alpine;

dal mio sangue è stato bagnato.

Per segnale una piccola croce

scolpita lì sulla roccia,

tra quelle stelle nasce l’erbetta,

e sotto di loro, io dormo quieto.

Cogli sù, cogli una stella alpina:

a ricordo del nostro amore:

Le darai un piccolo bacio

e poi nascondila nel seno.

Quando a casa sei sola,

e di cuore preghi per me,

il mio spirito intorno ti vola:

io e la stella siamo con te.

Parole commoventi che, ascoltate li su quei luoghi, tra le stelle alpine, le schegge di bomba e le ossa non fanno che venir la pelle d’oca. L’escursione prosegue fino alla vetta. Una bandiera italiana, a ridosso della vetta su di uno sperone, accoglie alla sua base gli scaffali della memoria. Una raccolta di residuati bellici e ossa.

Sulla vetta ci sono i ruderi del rifugio del custode del Pasubio. A pochi metri comincia una galleria che va dritta verso il vecchio confine austriaco. Sul Pasubio ci fu la guerra di mine. Entrambi gli schieramenti scavavano tunnel cercando di oltrepassare le trincee nemiche per poi farle esplodere dal ventre della montagna. Nello stesso tempo si cercava di capire dove il nemico stesse scavando in modo da poter giungere vicino con una contromina da far esplodere a sua volta prima che lo facesse il nemico. Storie agghiaccianti.

A questo si riferisce il Canto del Pasubio quando dice tra le sue strofe “soto i denti ghe sè ’na miniera (…) Sè i alpini che scava e spera de ritornare a trovar l’amor”.

Pochi metri dentro il tunnel che passa sotto Cima Palon (2232 mt), tra il pietrisco compaiono i resti di un dito segnato dall’umidità. Il tunnel lascia spazio ad innumerevoli uscite che erano le postazioni avanzate dei fronti. Proseguendo, il tunnel scende per una ripida e alquanto silenziosa galleria. Un cartello avvisa che è pericoloso procedere.

Siamo ormai vicini al Dente Italiano. Qui il 13 marzo del 1918 gli austriaci fecero esplodere 50.000 kg di esplosivo. I racconti narrano di fiammate infernali. Uscendo dalla galleria si osserva il dente dall’esterno. Enormi massi spaccati sono attorno al cratere. Non si riesce a credere ciò che si osserva. Li sotto ancora riposano i circa 80 soldati italiani morti in quel momento. La forma della cresta è interrotta dal cratere dell’esplosione.

Ormai attorno a noi solo più due viandanti si intravedono. Un papà con suo figlio. Nessun altro. Il pomeriggio avanza. Il Dente Austriaco è sopra di noi. Ovunque trincee, segni visibili di un terreno ancora provato dalle bombe. Proseguiamo verso le sette croci (1991 mt).

Cominciamo a scendere. La tranquillità è surreale nel tempo coperto dalle nuvole. Le sette croci si stagliano innanzi a noi. Prima di giungervi mi inerpico su una pendice. Un’altra trincea. Altre stelle alpine. Filo spinato e schegge di bombe. Un cartello avvisa che si è su di un vecchio nido di mitragliatrici austriaco. La poca neve rimasta e le croci unitamente a delle lapidi lasciano ammutoliti.

E’ tempo di scendere. Poco dopo la Selletta del Comando (2070 mt) incontriamo il cimitero di guerra della Brigata Liguria e il suo Arco Romano (2035 mt). Molte lapidi ai militi ignoti. Un palo d’acciaio nero si staglia con una scritta metallica che a monito dice “DI QUI NON SI PASSA”. La Brigata Liguria a costo estremo di vite umane non cedette e mantenne il fronte.

Ci dirigiamo verso il rifugio. L’anello è terminato. Dopo una breve sosta. La sola seconda sosta della giornata ci prepariamo ad affrontare una discesa di più di mille metri. Che, unitamente alla lunghezza del percorso non è proprio una gioia. Questa volta percorriamo la Strada dei Carrubbi. Una carrozzabile sterrata. Tagliamo i tornanti sul sentiero. Soprannominiamo il sentiero “lo spaccagambe”. Ormai il Pasubio è alle spalle. Siamo una delle ultime auto rimaste a Passo Xomo. Si riparte con le ultime luci del giorno.

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